- 1 luglio 2021
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L’accesa discussione attorno al tema dei rincari tariffari del servizio di igiene urbana, che è collegata ad una situazione più generale dove ci sono territori senza impianti, metodi di raccolta diversi, gestori più o meno carenti, può trarre in inganno.
Per questo motivo ho ritenuto utile dare un contributo immaginando le perplessità dei cittadini e le difficoltà degli amministratori pubblici, soprattutto dei piccoli centri. Persone perbene prestate alla gestione della cosa pubblica spesso senza gli strumenti necessari a districarsi in certe complessità. Vediamo ARERA.
E’ l’autorità di regolazione per energia reti e ambiente. Ad essa con la legge finanziaria 2018, licenziata nel dicembre 2017 (Governo Gentiloni) è stato attribuito il compito di regolazione e controllo anche nel settore dei rifiuti, urbani e assimilati.
Il principio cardine economico di questa Autorità è che le risorse per il suo funzionamento non provengono dal bilancio dello Stato ma da un contributo sui ricavi degli operatori regolamentati.
La governace di ARERA è costituita da un presidente e quattro membri nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del governo. La nomina non rinnovabile dura sette anni.
Essa agisce su tutto il territorio nazionale che come noto è disomogeneo, frazionato, carente di impianti e infrastrutture. Intere aree molto popolose non ne hanno affatto, basti pensare a Roma e ai rifiuti ma anche Firenze priva d’impianti. Disomogeneo anche per risultati di raccolte differenziate. Suddiviso e gestito da grandi operatori quotati in borsa e piccole realtà locali in concorrenza tra loro. Sono fattori critici che già fanno emergere una falla nel principio cardine economico dell’agenzia sopra richiamato.
Se la regolazione dei prezzi, che assorbe anche le inefficienze economiche e prestazionali degli operatori, porta a dei rincari tariffari, si può comprendere che gli amministratori locali hanno scarse possibilità di intervento. Qui già si crea una frattura tra amministratore e amministrato la cui causa risiede altrove.
Le inefficienze economiche (o maggiori costi) hanno varie origini tra cui la “carenza impiantistica” che costringe alla esportazione di rifiuti verso altre Regioni, Paesi Europei, Africa, Estremo Oriente. Lo stesso vale per la raccolta differenziata che senza adeguati impianti di trattamento diventa un costo.
Alla base della mancanza di impianti ci sono le sindromi NIMBY e NIMTO che hanno prodotto disastri. La NIMTO è ancor peggio della NIMBY, significa “non durante il mio mandato elettorale” (“not in my terms of office”). Rappresenta in modo drammatico l’incapacità politica che blocca lo sviluppo dei progetti da cui nascono le infrastrutture strategiche.
Faccio un esempio apparentemente banale: un amministratore di un comune che ottiene un’altissima percentuale di raccolta differenziata che poi finisce in impianti lontanissimi perché non ci sono altre possibilità di trattamento a livello locale ottiene un risultato negativo pur apparendo bravo. Purtroppo siamo abituati a pensare che la raccolta differenziata sia la soluzione, invece è solo una parte della soluzione. Ecco perché la raccolta differenziata può costare invece che essere un vantaggio.
Vediamo chi paga…
Chi paga il costo provocato dalla carenza impiantistica? Tutti, compreso le zone che hanno infrastrutture ad hoc. Cerco di chiarire i concetti: il nostro territorio è dotato di impianti, entro breve produrremo biometano dalla raccolta differenziata dell’organico quindi recupero di risorse, ma su di noi pesano le carenze di altri territori che non hanno impianti. Questa cosa può essere accettata per il principio di sussidiarietà ma l’aspetto ambientale e quello economico vengono meno.
Vediamo come si compone il costo della bolletta. Semplificando al massimo una parte è del gestore unico (raccolta, spazzamento, servizi di base, accessori e opzionali) una parte degli impianti (il trattamento vero e proprio). Il nostro costo di trattamento è tra i più bassi in Centro Italia, i dati sono pubblici. Tutto ciò purtroppo si affievolisce per via delle inefficienze e carenze di cui abbiamo accennato. Il cittadino purtroppo fa fatica a recepire in modo chiaro questa situazione complicatissima.
E gli Amministratori locali cosa possono fare? Chiedere al governo centrale di inserire la possibilità di controllare in modo capillare e in tempo reale l’andamento dei costi del gestore del servizio. Cosa si compra, quando si usa, quanto costa. Come era prima dell’arrivo del gestore unico. Il servizio passò al gestore unico Sei Toscana nel 2013 con la cessione del ramo d’azienda della vecchia Aisa (raccolta, tariffa, spazzamento, trasporto, servizi di base, accessori e opzionali). Per lungimiranza degli amministratori di allora non l’impianto che è rimasto fuori dal perimetro di gara.
Va meglio dove le Amministrazioni comunali hanno ancora la possibilità di gestire il servizio di raccolta o trattamento dei propri rifiuti. Grazie al controllo diretto sono gli unici in grado ancora di calmierare le tariffe come accade ad Arezzo per quanto riguarda Aisa Impianti e Zero Spreco, ovvero la fase di trattamento. Purtroppo non è così per quanto
riguarda tutto il resto per i motivi appena esposti.
C’è un’altra possibilità. Non tutti i servizi previsti nella gara che fu assegnata al gestore unico (2011 - 2013) sono in esclusiva pertinenza del gestore stesso. Da un’analisi della gara e del contratto infatti possono essere individuati quei servizi che possono essere riorganizzati a livello locale. Questo consentirebbe di ritrovare risparmi significativi e creare occupazione locale.
E il cittadino cosa può fare in una situazione così complicata? Ridurre al massimo i propri rifiuti per non dare linfa ad un sistema fuori dal controllo locale. Documentarsi a fondo prima di giocare al “tiro al bersaglio” con i propri amministratori.
In sintesi è necessaria una profonda riorganizzazione territoriale delle ATO. Di fatto hanno impedito la costruzione di impianti perché si concentravano sul progetto di mega impianto regionale o mega discarica regionale, fortemente impattanti e quindi osteggiato dalla popolazione.
Questa Amministrazione Comunale, nelle persone del Sindaco Ghinelli e dell’Assessore Sacchetti, è stata determinante per il progetto di riposizionamento di Aisa Impianti, unitamente agli altri Comuni soci. Una visione moderna e ingegneristica che sta dotando questa provincia di una centrale a recupero totale e di un piano d’investimenti da 37 milioni di euro con una novità tecnica importantissima: la linea termica concepita come processo di coda per gli scarti non recuperabili sotto forma di materia.